CAMPAGNA
HIV ai tempi del silenzio
Un portale ricco di contenuti per parlare di HIV ed AIDS.
Perché il silenzio si infrange con le parole.
Tra le risorse disponibili, tre podcast per raccontare un viaggio voluto dalle Associazioni di pazienti NADIR, NPS, PLUS e da MSD Italia con la supervisione scientifica della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT.
COS’È
Cos’è l’HIV?
HIV è un acronimo che sta per Human Immunodeficiency Virus e cioè Virus dell’Immunodeficienza Umana. L’HIV è un virus a RNA che appartiene ad una particolare famiglia, quella dei retrovirus ed è dotato di un meccanismo di replicazione unico.
È un virus che attacca e indebolisce il sistema immunitario – in particolare alcuni globuli bianchi, i linfociti T di tipo CD4 – e così l’organismo non riesce più a combattere infezioni e malattie. Infatti, minore è il numero di cellule CD4 e maggiori sono le probabilità di contrarre altre infezioni o tumori correlati alle infezioni. Se non adeguatamente trattato il virus dell’HIV distrugge talmente tante cellule CD4 da non poter più fronteggiare l’attacco da parte di virus, batteri, funghi, tumori.
Se non si seguono terapie adeguate il virus dell’HIV, in genere, progredisce secondo tre fasi. La terapia può rallentare o prevenire la progressione da uno stadio all’altro e per questo è così importante che sia iniziata il più precocemente possibile.
Attualmente non esiste una cura definitiva, ma sono disponibili terapie efficaci e con un buon profilo di sicurezza per tenere sotto controllo l’infezione e la malattia e migliorare, in certi casi in maniera anche molto significativa, la qualità di vita della persona.
DIFFUSIONE IN ITALIA E NEL MONDO
L’HIV in Italia e nel mondo
Nel 2022, sono state segnalate 1.888 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un’incidenza di 3,2 nuove diagnosi ogni 100.000 residenti. Dal 2012 si osserva una diminuzione dei casi per tutte le modalità di trasmissione, che appare più evidente dal 2018 al 2020, con un leggero aumento negli ultimi due anni post-COVID-19. Nonostante questo lieve aumento, l’incidenza di nuove diagnosi in Italia è inferiore rispetto alla media osservata tra gli Stati dell’Unione Europea (3,2 vs 5,1 nuovi casi per 100.000). Nel 2022, le incidenze più alte per 100.000 residenti sono state registrate in Lazio, Toscana, Campania, Abruzzo ed Emilia-Romagna. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2021 erano di sesso maschile nel 78,7% dei casi. L’età mediana era di 43 anni per i maschi e 41 per le femmine.
L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 30-39 anni (7,3 nuovi casi ogni 100.000 residenti di età 30-39 anni) e 25-29 anni (6,5 nuovi casi ogni 100.000 residenti di età 25-29 anni); in queste fasce di età l’incidenza nei maschi è 3-4 volte superiore a quella delle femmine. Nel 2022, la maggior parte delle nuove diagnosi di infezione da HIV era attribuibile a rapporti sessuali, che costituivano l’83,9% di tutte le segnalazioni; in particolare, gli uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) costituiscono il 40,9%, gli eterosessuali di sesso maschile il 25,1% e le eterosessuali il 17,9%. Il numero di nuove diagnosi di infezione da HIV negli stranieri è in diminuzione dal 2016 al 2020 con un lieve aumento negli ultimi due anni post-COVID-19. È diminuita nel tempo anche la proporzione di persone che alla diagnosi di AIDS presentava un’infezione fungina, mentre è aumentata la quota di persone con un’infezione virale e quella batterica. Queste infezioni rappresentano un segnale del sistema immunitario indebolito a causa della malattia. Nel 2022, il 75,4% delle persone con AIDS non aveva ricevuto una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di AIDS.
Stando agli ultimi dati disponibili, nel 2022 sono state effettuate 509 nuove diagnosi. Fra queste il 27,7% si riferisce a infezioni recenti (contratte da poco tempo). Si osserva che la proporzione di pazienti che scoprono di essere sieropositivi e poco dopo (meno di 6 mesi dopo) ricevono una diagnosi di AIDS è in costante aumento. Questi risultati indicano che molte persone ricevono una diagnosi di AIDS avendo scoperto da poco tempo la propria sieropositività. In questo caso si tratta dunque di diagnosi tardive, che sono aumentate fino al 2020 per poi stabilizzarsi nell’ultimo triennio.
Punti chiave
- l’incidenza (casi/popolazione) delle nuove diagnosi HIV è in diminuzione dal 2012, con una riduzione più evidente dal 2018 al 2020 e un leggero aumento negli ultimi due anni post-COVID-19
- la riduzione del numero di nuove diagnosi HIV interessa tutte le modalità di trasmissione
- nel 2022, l’incidenza più elevata di nuove diagnosi HIV si riscontra nella fascia di età 30-39 anni
- il numero più elevato di diagnosi è attribuibile alla trasmissione sessuale e nell’ordine a maschi che fanno sesso con maschi (MSM), maschi eterosessuali e femmine eterosessuali
- dal 2016 si osserva una diminuzione del numero di nuove diagnosi HIV in stranieri, sia maschi che femmine
- dal 2015 aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da HIV (con bassi CD4 o in AIDS): nel 2022, i 2/3 degli eterosessuali maschi e più della metà delle eterosessuali femmine sono stati diagnosticati con CD4 <350 cell/µL
- nel 2022 quasi la metà delle persone con nuova diagnosi HIV scopre di essere HIV positivo a causa della presenza di sintomi o patologie correlate all’HIV
- il numero di decessi in persone con AIDS rimane stabile
- nel 2022 gran parte delle persone con nuova diagnosi di AIDS che scopre di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS
- Infezione fungina: Infezione causata da funghi. Possono essere locali se coinvolgono la cute, la bocca e/o la vagina, o sistemiche, nel caso coinvolgano la pelle e gli organi
- Terapia antiretrovirale: Trattamento per infezione da HIV che si basa su una combinazione di più farmaci, detti antiretrovirali perché il virus HIV appartiene alla famiglia dei retrovirus
Le cifre nel mondo
I dati dell’UNAIDS sull’epidemia di HIV e AIDS stimano che nel 2021, a fronte di 38,4 milioni di persone che vivono con il virus, ci siano state 1,5 milioni di nuove diagnosi. Dei 38,4 milioni di persone che vivono con l’infezione da HIV, 36,7 milioni sono adulti e 1,7 milioni sono bambini con meno di 15 anni. il 54% dei casi riguarda la popolazione femminile. Si stima che nel mondo circa 5,9 milioni di persone non conoscono la loro positività all’HIV.
Il numero delle nuove diagnosi è diminuito nel tempo passando dal picco del 1996 con 3,2 milioni di nuove infezioni a circa 1,5 milioni nel 2021. Alla fine di dicembre 2021, 28,7 milioni di persone con l’HIV hanno avuto accesso alle terapie antiretrovirali, che rappresenta il 75% del totale. Nel 2021, l’81% delle donne in gravidanza ha avuto accesso alle terapie antiretrovirali per prevenire la trasmissione del virus al nascituro. Il numero di decessi per anno continua a diminuire, principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate, nel 2021 sono stati registrati 650.000 decessi.
Le statistiche globali
39 milioni
di persone attualmente convivono con l’HIV
1,5 milioni
di nuove infezioni nel 2021
630 000 decessi
causati da problemi legati a complicazioni dovute all’AIDS nel 2022
29,6 milioni
di persone hanno attualmente accesso alle terapie antiretrovirali
85,6 milioni
di persone hanno contratto il virus dell’HIV dall’inizio dell’epidemia
40,4 milioni
di decessi causati da problemi legati a complicazioni dovute all’AIDS dall’inizio dell’epidemia
STADI
Quali sono gli stadi dell’HIV?
I tre stadi dell’infezione da HIV sono l’infezione acuta, l’infezione cronica (anche detta latenza clinica) e la sindrome da immunodeficienza acquisita.
Stadio 1: Infezione acuta da HIV
Dopo 2-4 settimane dal contagio si possono manifestare dei sintomi simil-influenzali – che possono durare anche qualche settimana – come febbre, brividi, eruzioni cutanee, sudorazione notturna, dolori muscolari, mal di gola, affaticamento, linfonodi ingrossati o ulcere alla bocca. È la risposta che si attiva nell’organismo quando si contrare un’infezione. In questo stadio le persone che hanno contratto il virus sono altamente infettive. Spesso non c’è la consapevolezza di aver contratto il virus, sia perché non sempre ci si sente male, sia perché si scambiano i sintomi per altro, sia perché non si pensa di essere stati esposti al virus. In questa fase l’infezione da HIV potrebbe ancora non comparire e risultare visibile nel test.
Attenzione: chi ha questi sintomi NON deve pensare subito di avere contratto l’HIV perché possono essere causati da molte altre malattie, influenza compresa. È importante non sottovalutarli dopo una potenziale esposizione all’HIV come, ad esempio, dopo un rapporto sessuale a rischio non protetto. L’unico modo per sapere se si è contratto il virus è sottoporsi al test. In questa fase potrebbe risultare inizialmente negativo (il cosiddetto ‘periodo finestra’ può durare da poche settimane a 3 mesi) e quindi deve essere ripetuto. Bisogna parlarne con il medico e informarlo del possibile rischio al quale si è stati esposti.
Stadio 2: Latenza clinica HIV
È una fase in cui il virus è attivo ma si riproduce a livelli molto bassi. Spesso non ci sono sintomi e le persone non si rendono nemmeno conto di aver contratto il virus. Durante questa fase – se non si seguono adeguate terapie, con una carica virale inferiore ai livelli rilevabili – le persone sieropositive possono trasmettere il virus. Quando la carica virale inizia a salire e il conteggio delle cellule CD4 a diminuire sensibilmente, significa che c’è una progressione e si sta entrando nell’ultimo stadio. In genere con l’aumentare dei livelli del virus nel corpo arrivano anche i primi sintomi. Spesso è in questa fase – alle porte del 3° stadio – che si inizia a sospettare di aver contratto il virus e si fa il test.
Se non si seguono adeguate terapie antiretrovirali il 2° stadio può anche durare 10 anni oppure progredire più velocemente. Invece, le persone che seguono una terapia possono restare in questo stadio anche per diversi decenni. È importante ricordare che, se si segue una terapia efficace così come è prescritta, è possibile ottenere una carica virale non rilevabile e questo significa che non si può trasmettere il virus dell’HIV ad altri attraverso il sangue e/o i fluidi corporei.
Stadio 3: Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS)
L’AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome) è la fase più grave dell’infezione da HIV perché il sistema immunitario è così seriamente danneggiato che si manifestano sempre più malattie gravi (infezioni opportunistiche) alle quali non riesce a fare fronte. La diagnosi di AIDS arriva quando la conta delle cellule CD4 scende al di sotto di 200 cellule/mm o se si manifestano determinate malattie opportunistiche provocate da agenti patogeni che normalmente non interessano persone sane ma colpiscono chi ha un sistema immunitario fortemente compromesso. Non si parla più di ‘persone sieropositive’ ma di ‘persone con AIDS’. Senza un adeguato trattamento farmacologico in genere la sopravvivenza è di circa 3 anni. I sintomi più frequenti sono brividi, febbre, sudorazione, linfonodi ingrossati, debolezza e perdita di peso. Le persone con AIDS possono avere una carica virale molto alta ed essere, quindi, molto contagiose.
È possibile evitare di arrivare allo stadio di AIDS iniziando precocemente una terapia antiretrovirale.
SINTOMI
HIV: i sintomi
I sintomi associati alla presenza dell’HIV variano sulla base dello stadio dell’infezione. Generalmente l’infezione si diffonde più facilmente nelle prime settimane dopo il contagio; tuttavia, molte persone non vengono a conoscenza di questa condizione se non più avanti, negli stadi successivi. Nel primo stadio (la fase acuta), a distanza di circa 1-4 settimane dopo aver contratto l’infezione da HIV, un’ampia fetta di persone (circa l’80%) sviluppa sintomi quali febbre, gola infiammata o candidosi orale, ghiandole ingrossate, dolori articolari o muscolari. In questa fase il virus può causare molti danni, soprattutto a livello del sistema immunitario e a livello dell’intestino. Una volta terminata la fase acuta, la persona si sente spesso meglio e il virus potrebbe non determinare sintomi importanti per diversi anni, fino a 10, anche se non è in terapia antiretrovirale.
I sintomi più gravi, infatti, possono non apparire fino alla fase della malattia conclamata (AIDS). Le persone con AIDS hanno un sistema immunitario indebolito, fortemente soggetto ad infezioni opportunistiche o tumori che si sviluppano a partire da queste, che possono essere più aggressive e gravi proprio a causa della minore capacità di reazione del sistema immunitario.
FATTORI DI RISCHIO
Come si trasmette l’HIV?
L’HIV si trasmette solo attraverso i liquidi biologici (sangue, sperma e secrezione vaginali, latte materno) di persone che NON sono in terapia antiretrovirale efficace.
Quando il virus, contenuto in questi liquidi di una persona non in terapia antiretrovirale riesce ad entrare nell’organismo di un’altra persona attraverso ferite della pelle o attraverso le mucose (che si trovano all’interno del retto, della vagina, del pene e della bocca), avviene il contagio. Non è corretto parlare di ‘categorie di persone a rischio’ quanto piuttosto di ‘comportamenti a rischio’: scambiarsi l’uso di siringhe, farsi fare tatuaggi senza che si usino materiali monouso, avere rapporti sessuali non protetti per esempio espone maggiormente alla possibilità di contrarre il virus.
Avviene attraverso lo scambio di siringhe o comunque aghi infetti. A partire dal 1990 nel nostro Paese i controlli sulle unità di sangue sono diventati stringenti e scrupolosi. Resta alto, invece, il rischio tra i tossicodipendenti che fanno uso di sostanze iniettive se si scambiano la siringa. A rischio qualunque pratica preveda l’uso di aghi se non si usano aghi sterili monouso e quindi agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing. È importante accertarsi che vengano adottate tutte le norme igieniche imposte dalla legge. L’HIV può vivere in un ago usato (a seconda della temperatura e di una serie di fattori) anche 42 giorni. Ma attenzione: in agguato non c’è solo l’HIV ma anche l’epatite B e C.
Si può verificare in ogni momento durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. Il rischio che una donna sieropositiva possa trasmettere il virus al figlio è circa del 20 per cento. Tuttavia, si può abbassare sensibilmente questa percentuale (fino al 2%) sottoponendo a terapie adeguate la donna durante la gravidanza e il neonato nelle prime 6 settimane di vita. Tutte le coppie che desiderano un figlio dovrebbero valutare l’opportunità di inserire il test dell’HIV tra gli esami di screening prenatale.
È la modalità di trasmissione più diffusa nel mondo del virus HIV sia nei rapporti eterosessuali che in quelli tra uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. Tutti i rapporti sessuali non protetti da preservativo possono essere a rischio di contagio di HIV se uno dei partner è sieropositivo e non è in terapia antiretrovirale efficace. La trasmissione avviene attraverso i liquidi biologici infetti (secrezioni vaginali, liquido pre-eiaculatorio, sperma, sangue) e le mucose, anche se queste appaiono integre. Tutte le pratiche che possono provocare lesioni alle mucose genitali aumentano il rischio di contagio; dato che la mucosa anale è più fragile, i rapporti anali sono da considerarsi a maggior rischio. Il coito interrotto non protegge dall’HIV.
Non bisogna, comunque, dimenticare che oltre al virus dell’HIV ci sono almeno altri 30 tipi di infezioni sessualmente trasmesse per le quali è bene proteggersi utilizzando il preservativo. Alcune malattie sessualmente trasmissibili come gonorrea, clamidia, sifilide, papillomavirus umano, herpes genitale, ad esempio, aumentano (in alcune popolazioni raddoppiano o triplicano) le probabilità di contrarre l’HIV se si hanno rapporti sessuali non protetti con una persona sieropositiva che non è in terapia antiretrovirale efficace. Questo avviene perché alcune malattie provocano ferite o piaghe che rendono più facile l’ingresso dell’HIV nel corpo, altre provocano un’infiammazione che aumenta il numero delle cellule che possono diventare un bersaglio per l’HIV.
Come non si trasmette il virus
L’HIV non sopravvive molto al di fuori dell’organismo umano e non è in grado di riprodursi fuori dall’uomo. Il virus non si trasmette attraverso la saliva, i baci, stringendosi la mano, scambiandosi un bicchiere o le posate o i piatti. Non si trasmette attraverso la tosse, le lacrime, il sudore, l’urina e le feci e quindi non si trasmette scambiandosi asciugamani, lenzuola, frequentando palestre, piscine, docce, bagni o con la puntura di insetti. Tutto questo significa che il virus non si trasmette semplicemente frequentano dei luoghi pubblici, andando al ristorante o salendo su un mezzo di trasporto o entrando in una classe. Non ha senso un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone sieropositive.
TERAPIE
Quali sono le terapie per l’HIV?
Attualmente non esiste ancora una cura definitiva che consenta la guarigione dall’infezione; tuttavia, esistono terapie efficaci e con un buon profilo di sicurezza in grado di tenerla sotto controllo. Attraverso una corretta aderenza a questi trattamenti una persona sieropositiva può arrivare ad avere un’aspettativa di vita simile a quella di una persona non infetta, con una buona qualità di vita; inoltre, se raggiunge e mantiene una carica virale non rilevabile non è contagiosa. Per ottenere questi risultati è importante che la terapia inizi prima possibile e che ci sia un’ottima aderenza da parte del paziente.
Oggi esistono numerose classi di farmaci antiretrovirali che vengono impiegate nei protocolli della terapia antiretrovirale. Alcune di queste inibiscono l’ingresso dell’HIV nella cellula umana, altre inibiscono uno degli enzimi (piccole sostanze di natura proteica) di cui il virus ha bisogno per replicare all’interno della cellula. Di seguito, alcune delle principali classi di farmaci antiretrovirali:
- gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (nucleoside reverse transcriptase inhibitors, NRTI) sfruttano un particolare meccanismo con cui ingannano il virus e bloccano l’attività dell’enzima
- gli inibitori nucleotidici della trascrittasi inversa (nucleotide reverse transcriptase inhibitors, NRTI) utilizzano un meccanismo simile a quello degli altri inibitori (vedi sopra)
- gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (non-nucleoside reverse transcriptase inhibitors, NNRTI) agiscono legandosi direttamente all’enzima
- gli inibitori delle proteasi (Protease Inhibitors, PI) inibiscono la proteasi virale, enzima cruciale per la maturazione dell’HIV, evitando che possa infettare altre cellule
- gli inibitori di ingresso, che includono gli inibitori della fusione della membrana virale e cellulare, di fatto impediscono l’entrata del virus nella cellula
- gli inibitori post-attaccamento sono una classe di farmaci che si legano al recettore CD4 presente su alcune cellule del sistema immunitario (una proteina presente su queste cellule) e che in questo modo riescono a bloccare l’attacco del virus, impedendo il suo ingresso nelle cellule
- gli inibitori dell’integrasi (Integrase Strand Transfer Inhibitor, INSTI) impediscono all’HIV di integrare la sua codifica genetica (genoma) nel DNA della cellula ospite infetta Questo fa sì che il virus non sia in grado di replicarsi
- gli inibitori dell’adesione (attachment inhibitors) interferiscono nell’interazione iniziale fra il virus (in particolare la glicoproteina gp120 sulla sua superficie esterna) e la “porta d’ingresso” di alcune cellule del nostro sistema immunitario, impedendo così l’adesione e il successivo ingresso del virus
I farmaci antiretrovirali hanno principalmente due obiettivi: ridurre la carica virale (la quantità di RNA) dell’HIV nel sangue a tal punto da raggiungere valori non rilevabili con il test e riportare la conta dei CD4 a livelli normali in modo che il sistema immunitario possa fronteggiare gli attacchi esterni.
Quanto più rapidamente si inizia il trattamento con i farmaci antiretrovirali, tanto prima aumenta il numero dei CD4. È importante una diagnosi precoce, prima che la conta delle cellule CD4 diminuisca troppo. Il trattamento con i farmaci va iniziato subito dopo la diagnosi, non bisogna attendere segni di malattia o un certo livello di CD4.
Solitamente i farmaci vengono usati in combinazione di due o più molecole (terapie antiretrovirali in combinazione, cART) perché questa strategia si è dimostrata particolarmente efficace, aumentando l’aspettativa di vita e rendendola quasi sovrapponibile a quella delle persone che non hanno l’infezione. Le combinazioni di farmaci, infatti, sono più potenti nel ridurre la quantità di HIV nel sangue e aiutano a prevenire lo sviluppo di resistenze (farmacoresistenze). Quando il virus resiste alla terapia, questo comporta una ridotta o assente capacità di rispondere al trattamento e dunque una minore o assente efficacia. Quando invece i farmaci si utilizzano da soli inevitabilmente si sviluppa una resistenza che può manifestarsi in breve tempo o fino a diversi mesi dopo l’inizio della terapia. Inoltre, alcuni farmaci fungono da “potenziatori farmacocinetici”: questo vuol dire che interferiscono con altri farmaci contro l’HIV e ne rallentano l’eliminazione dall’organismo, quindi ne aumentano l’efficacia.
L’importanza dell’aderenza
Queste terapie sono efficaci solo se assunte in maniera regolare. Saltare le dosi consente al virus di replicarsi e di sviluppare resistenza. Si tratta di terapie da assumere per tutta la vita e per quanto possa essere stancante è importante non smettere e non prendersi periodi di ‘vacanza’ perché questo facilita l’insorgere della farmacoresistenza, oltre a consentire all’HIV di riprendere la sua corsa.
UNDETECTABLE = UNTRASMITTABLE (U=U)
U=U (Undetectable=Untrasmittable) e cioè ‘non rilevabile=non trasmissibile’. È lo slogan con il quale nel 2016 viene lanciata una campagna promossa da Prevention Acces Campaign alla quale aderiscono rapidamente Associazioni di tutto il mondo e anche i CDC americani (i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie). Il fatto che le persone sieropositive con carica virale soppressa (non rilevabile) non potessero trasmettere sessualmente il virus era una cosa nota alla comunità scientifica sin dall’inizio degli anni duemila, ma è con gli studi successivi, sempre più ampi, che se ne è avuta la conferma. Nel 2017 la dichiarazione pubblica dei CDC segna un momento importante nella lotta all’HIV.
Le persone sieropositive che seguono una terapia antiretrovirale efficace così come prescritta, con regolarità, riducono la quantità di HIV nel corpo (ovvero la carica virale) a tal punto da non essere più rilevabile dal test HIV. Questo significa che il sistema immunitario si mantiene attivo e in grado di resistere all’attacco di altri virus e malattie ma anche che la persona sieropositiva non è più in grado di trasmettere il virus anche durante rapporti sessuali non protetti. Infatti, il rischio di contagio nel caso di carica virale non rilevabile da almeno 6 mesi è inesistente o insignificante, purché ci sia un’aderenza massima alle terapie.
Ottenere e mantenere nel tempo una carica virale non rilevabile è la strategia migliore che una persona con HIV possa adottare per la propria salute e per quella dei propri partner. In questo modo la terapia antiretrovirale ha assunto non solo il ruolo di cura del virus ma anche di importante strada di prevenzione.
Non tutti coloro che prendono una terapia antiretrovirale ottengono una carica virale non rilevabile: fra le persone che sono in terapia circa un 10% non riesce a raggiungere o mantenere questa condizione. È fondamentale assumere la terapia come prescritto, dato anche saltare alcune dosi può far aumentare di nuovo la carica virale e quindi il rischio di trasmettere il virus.
Generalmente le persone che seguono in modo aderente una terapia antiretrovirale efficace ottengono una carica virale non rilevabile nel giro di 3-6 mesi. È importante tenere sotto controllo la situazione sottoponendosi al test secondo le indicazioni del medico.
EFFETTI COLLATERALI DELLA CURA
Gli effetti collaterali delle terapie
Oltre a contrastare il virus, le terapie possono però causare degli effetti non desiderati a livello del nostro organismo e del suo funzionamento. Questi effetti possono essere a breve o a lungo termine. Gli effetti collaterali a breve termine sono più frequenti e compaiono in breve tempo dopo l’inizio della terapia. Possono includere stanchezza, malessere, nausea e vomito, diarrea, alterazioni del sonno, mal di testa ed eruzioni cutanee. Questi effetti possono essere attenuati attraverso appositi trattamenti farmacologici, ma qualora persistano è importante far valutare un cambio di terapia.
In casi più rari, i farmaci antiretrovirali possono avere effetti avversi a lungo termine, anche severi. Alcuni di questi, soprattutto anemia, epatite, insufficienza renale, pancreatite e intolleranza al glucosio, possono essere individuati generalmente mediante esami del sangue, quando ancora non danno sintomi evidenti. I pazienti devono essere controllati periodicamente, sia attraverso un esame fisico che mediante un adeguato monitoraggio basato su analisi di laboratorio, fra cui emocromo completo, esami ematochimici per valutare iperglicemia, danno epatico, funzionalità renale (ma possono essere richiesti anche test per valutare danni al fegato, al pancreas), fosforo sierico, esami delle urine, specialmente dopo aver iniziato una nuova terapia o sviluppato sintomi inspiegabili.
Gli effetti metabolici si manifestano con sindromi correlate fra loro quali lipodistrofia, iperlipidemia e insulino-resistenza. Il grasso sottocutaneo viene comunemente ridistribuito dalla faccia e dalle estremità al tronco, al collo, al petto e all’addome, un effetto cosmetico in grado di stigmatizzare e causare notevole malessere ai pazienti. Iniezioni di collagene o di acido polilattico possono essere di aiuto per il trattamento delle rughe e scanalature del viso. Obesità centrale, iperlipidemia e insulino-resistenza, che insieme costituiscono la sindrome metabolica, possono aumentare, soprattutto se non gestite, il rischio di infarto miocardico, ictus e potrebbero aumentare la probabilità di sviluppare una demenza.
Tutte le classi di antiretrovirali possono probabilmente causare questi effetti metabolici ma gli inibitori delle proteasi (Protease Inhibitors, PI), insieme agli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI), sono quelli più coinvolti, stando alla ricerca. Alcuni vecchi farmaci antiretrovirali, come ritonavir o D4T, hanno mostrato di avere effetti sul metabolismo. È importante chiedere al medico qualsiasi informazione inerente al farmaco prescritto, anche per conoscere questi ed altri effetti collaterali.
Fra i vari meccanismi che risultano alla base delle alterazioni metaboliche, c’è la tossicità mitocondriale. Il rischio di effetti metabolici (maggiore con inibitori della proteasi) e di tossicità mitocondriale (più alto con inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa NRTI) varia a seconda della classe di medicinali adottata e della scelta del farmaco all’interno della singola classe (p. es., tra gli NRTI, la probabilità maggiore si riscontra con d4T.
Gli effetti metabolici dipendono dal dosaggio del trattamento e spesso iniziano durante i primi 1-2 anni di trattamento. L’acidosi lattica, una particolare alterazione del metabolismo, non è frequente ma può assumere forme gravi o letali, per cui deve essere fortemente posta sotto l’attenzione degli specialisti. La steatosi epatica non alcolica viene sempre più riconosciuta tra i pazienti che vivono con l’HIV. Alcuni farmaci antiretrovirali di prima generazione hanno causato la steatosi e, al diminuire del loro uso, l’incidenza di steatosi è diminuita. Nonostante diversi progressi compiuti, anche i farmaci antiretrovirali di nuova generazione sono associati ad effetti collaterali e potenzialmente al rischio di steatosi.
Gli effetti a lungo termine associati ai trattamenti antiretrovirali e la gestione ottimale delle alterazioni metaboliche sono ancora in corso di studio. Possono essere utili farmaci ipolipemizzanti (statine), ovvero in grado di ridurre i livelli dei lipidi, e farmaci che aumentino la sensibilità insulinica per contrastare l’insulino-resistenza. Ai pazienti deve essere consigliato di mantenere una dieta sana e un’attività fisica regolare come modi per contribuire a promuovere la salute. La terapia antiretrovirale può aumentare il rischio di osteopenia e osteoporosi asintomatiche e di andare incontro a fratture ossee. In casi specifici, non frequenti, potrebbe aumentare il rischio di necrosi avascolare (anche detta osteonecrosi), la morte di parte del tessuto osseo. In questo caso possono essere coinvolte varie articolazioni, fra cui l’anca, il ginocchio o la spalla, provocando dolore acuto e disfunzionalità articolare. I meccanismi alla base delle complicanze ossee sembrano essere vari e sono ancora in corso di studio.
Interazione tra farmaci
Se si segue una terapia antiretrovirale, prima di assumere qualsiasi altro farmaco, è importante informare il medico perché potrebbero esserci delle interazioni che potrebbero anche diminuire l’efficacia della terapia.
- Trascrittasi inversa: enzima che, attraverso un particolare processo (detto di trascrizione inversa, osservato nei retrovirus), favorisce l’integrazione del DNA del virus all’interno della cellula ospite.
- Inibitori: Agenti capaci di arrestare o rallentare notevolmente una data trasformazione chimica o l’attività di un sistema.
- Fosforilazione: Reazione chimica che consiste nell’addizione di un gruppo fosfato (PO43-) ad una proteina o ad un’altra molecola.
- Nucleoside: Composto chimico costituito da uno zucchero pentoso e da una base azotata purinica o pirimidinica unite per mezzo di un legame β-glicosidico.
- Nucleotide: Unità ripetitiva costitutiva degli acidi nucleici (DNA e RNA).
- Proteasi: enzimi in grado di rompere i legami fra le proteine, scomponendole e rendendo più facile il loro assorbimento.
- Chemochine: Piccole molecole di natura proteica appartenenti della famiglia delle citochine che svolgono un importante ruolo nella risposta immunitaria.
- Integrasi: Enzima responsabile dell’integrazione del DNA del virus all’interno del DNA della cellula ospite.
- Farmacoresistenza: resistenza che si manifesta quando virus o altri microorganismi non rispondono più o non più come prima ad una certa terapia, con la conseguente riduzione dell’efficacia terapeutica.
- Lipodistrofia: gruppo di malattie rare che comportano un’anomala perdita di tessuto adiposo a livello sottocutaneo con corrispondente irregolare accumulo di questo tessuto presso altri organi interni.ù
- Iperlipidemia: o dislipidemia, consiste nell’aumento, nel sangue, del colesterolo, dei trigliceridi, o di entrambi, o in un basso livello di colesterolo HDL che può contribuire al rischio dello sviluppo di aterosclerosi.
- Insulino-resistenza: Alterazione del processo di trasduzione del segnale dell’insulina, per cui concentrazioni di insulina normali o aumentate producono un effetto biologico attenuato.
- Mitocondri: organelli (strutture delimitate da membrana) presenti all’interno delle cellule viventi di cui rappresentano le centrali energetiche.
- Acidosi lattica: Forma di acidosi metabolica causata da elevati livelli di acido lattico nel sangue.
- Steatosi epatica: Accumulo anomalo di alcuni grassi (trigliceridi) nelle cellule epatiche.
- Farmaci ipolipemizzanti: Farmaco o trattamento in grado di riequilibrare l’assetto lipidemico.
- Osteopenia: Condizione di ridotta densità ossea.
- Osteoporosi: Condizione grave di ridotta densità ossea.
- Necrosi avascolare: O Osteonecrosi, infarto focale dell’osso che può essere causata da specifici fattori eziologici o può essere idiopatica.
- Terapia antiretrovirale: Trattamento per infezione da HIV che si basa su una combinazione di più farmaci, detti antiretrovirali perché il virus HIV appartiene alla famiglia dei retrovirus.
- Ipertrigliceridemia: Aumento dei livelli dei trigliceridi.
PREVENZIONE
La prevenzione
- Non scambiarsi siringhe e pretendere aghi monouso. Evitare sempre l’uso di siringhe in comune, aghi o qualsiasi altro materiale se si fa uso di droghe iniettive. Nel caso di piercing, tatuaggi, trattamenti estetici, ecc. accertarsi sempre che siano rispettate le norme igienico-sanitarie fissate per legge e che si utilizzino strumenti monouso o comunque opportunamente trattati.
- Nel caso di rapporti occasionali (vaginali, anali, oro-genitali) utilizzare sempre il preservativo sin dall’inizio del rapporto sessuale e per tutta la sua durata. Non bisogna usare lubrificanti oleosi perché potrebbero favorire la rottura del preservativo.
- La pillola anticoncezionale, la spirale e il diaframma sono metodi anticoncezionali ma non evitano il contagio con l’HIV o altre infezioni sessualmente trasmesse. Si ricorda che anche le lavande vaginali dopo il rapporto sono inefficaci.
- Può essere importante, per le persone sieronegative a rischio di contrarre l’infezione, seguire correttamente una profilassi pre-esposizione (in sigla PrEP).La PrEP consiste nell’assunzione di farmaci anti-HIV, prima di esporsi a dei rischi, per prevenire l’infezione. Per essere davvero efficace è importante che sia assunta correttamente come prescritta. Inoltre, è opportuno che la persona sia seguita da un infettivologo. Questo specialista verificherà la presenza di infezioni sessualmente trasmissibili, effettuerà la prescrizione e seguirà il paziente durante l’assunzione della terapia, anche per monitorare eventuali effetti collaterali, generalmente rari.
- La PEP (profilassi post-esposizione) consiste invece nell’assumere medicinali antiretrovirali dopo una possibile esposizione all’HIV, per ridurre la probabilità di un contagio. È utilizzata solo in situazioni di emergenza ed entro 48 ore dall’esposizione (dal rapporto sessuale). Se correttamente somministrata, si è dimostrata efficace ma non nella totalità dei casi. Viene utilizzata, ad esempio, in caso di rottura del preservativo durante un rapporto sessuale a rischio o se ci si è feriti con materiale infetto o ancora dopo un’aggressione sessuale. In questi casi è importante rivolgersi quanto prima ad un centro di malattie infettive o al Pronto soccorso di un grande ospedale e parlarne con il medico.
VACCINO CONTRO HIV
Il vaccino contro l’HIV
Ad oggi non esiste un vaccino per l’HIV, anche se sono in corso di studio diversi candidati vaccini, sia per prevenire l’infezione in chi è sieronegativo sia per migliorare il decorso della malattia in chi già ha una diagnosi. Nonostante non ci sia ancora questa opportunità, si possono mettere in atto una serie di comportamenti per ridurre o addirittura rendere quasi nullo il rischio di contrarre il virus, e anche per non trasmetterlo. Infatti, le persone con HIV che assumono correttamente una terapia antiretroviraleefficace possono rendere la carica virale così bassa da non essere nemmeno rilevata dal test (carica virale non rilevabile): in questo modo hanno un rischio pressoché nullo di trasmettere il virus ad un partner anche durante un rapporto sessuale non protetto.
- Infezione fungina: Infezioni causate da funghi. Possono essere locali se coinvolgono la cute, la bocca e/o la vagina, o sistemiche, nel caso coinvolgano la pelle e gli organi.
- Terapia antiretrovirale: Trattamento per infezione da HIV che si basa su una combinazione di più farmaci, detti antiretrovirali perché il virus HIV appartiene alla famiglia dei retrovirus.
PARTNER
Partner di progetto
SIMIT
Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
SIMIT è la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, fondata nel 2001 dalla fusione di due Società Scientifiche esistenti: la Società Italiana per lo Studio delle Malattie Infettive e Parassitarie (SISMIP) fondata nel 1946 e l’Associazione Medici Ospedalieri Infettivologi (AMOI) fondata nel 1957.
NADIR
Associazione Nadir onlus.
Occhio al futuro – Vivere a lungo con l’HIV
Questo progetto di engagement è stato ideato da NADIR per sensibilizzare le persone con HIV ad inserirsi in comunità di riferimento.
NPS Italia Onlus
Network Persone Sieropositive
Magnetic Couples: affettività e sessualità nelle coppie sierodiscordanti.
PLUS
Persone LGBT Sieropositive Onlus
Formazione degli operatori per la prevenzione HIV rivolta ai MSM.
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