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Conosciamo la storia di Letizia

Mia mamma mi ha cresciuto con il desiderio che io mi prendessi in fretta le mie responsabilità, il mio spazio. È sempre stata presente, sempre, ma non al mio fianco, piuttosto un passo dietro di me, solida e riservata.
È sempre stata una di quelle donne, sane, mai un chilo di troppo, anche senza fare molta attività, capelli corti, un filo di trucco e fisico nervoso.

Un giorno, un paio di anni fa, alla fine di una delle nostre telefonate settimanali, mi dice che aveva fatto un po’ di esami, che c’era un qualche valore fuori norma e che avrebbe, probabilmente, visto di lì a poco uno specialista. Le chiedo specifiche … ma il tono con cui mi aveva raccontato il tutto era assolutamente sereno, tranquillo, e poi aveva messo quella notizia alla fine della telefonata … insomma una cosetta da niente.

Un mese e mezzo dopo. Mi chiama. Ero in aeroporto. Di lì a poco sarei dovuta partire per la Spagna, 48 ore full per un grosso progetto. Mi chiede come sto e poi secca mi dice. “Amore, la settimana prossima mi operano, abbiamo provato a cacciare questa brutta cosa con un ogni mezzo. Ma prima che diventi ancora più pericolosa, mi tolgono tutto. Lo so che hai mille impegni, scusami se ti do anche questo pensiero ma …” Ed è scoppiata a piangere.

48 ore dopo ero da Lei. Carcinoma uroteliale infiltrante: ecco il nome del nuovo convivente di mia madre. Stavano insieme già da un po’ di tempo e me lo presentava solo ora, ora che la loro storia sperava fosse già vicina al termine. Che stupida che sono stata. Adesso, con il senno di poi, posso dirlo. E che stupida mia madre che non ha voluto coinvolgermi fin da subito, fin dall’inizio: forse non avrei potuto fare nulla di più, ma questo non lo sapremo mai e, soprattutto, avrei potuto fermarmi … fare un passo indietro e mettermi al suo fianco.

Avevano optato, mi diceva lucida, per una neovescica, mi parlava di resezione endoscopica transuretrale, chemio, cistectomia … io, digiuna di quella lingua, non capivo nulla.
Ero lì, ma il mio ritardo metteva tra me e lei una distanza che mi sembrava incolmabile. Dovevo recuperare, se volevo comunicare con lei era evidente che dovessi imparare quella lingua. E se ce l’ho fatta, se ci sono riuscita, devo ringraziare soprattutto i suoi infermieri, i volontari, gli ex-pazienti che hanno letto nei miei occhi quanto fossi spaesata e avessi bisogno di un interprete. Mia mamma, per affrontare la sua montagna, doveva rimanere concentrata.
Ho recuperato così il tempo perduto, e quando c’è stata qualche complicazione, quando durante l’intervento il chirurgo ha dovuto optare per una stomia e non una neovescica – aveva avvisato mia madre di quella possibilità – ho ringraziato il cielo di essere lì e poter condividere con lei quel momento.

Sono stati mesi difficili. Alle ferie ho aggiunto una piccola aspettativa. Ho imparato la lingua, naturalmente. L’ho imparata molto bene. Ed ora sono qui … per fare da interprete, per aiutare chi pur non dovendo fare l’ascesa, pur non essendo il protagonista di questo viaggio, ha il compito fondamentale e delicato di stare giù al campo … e con umiltà, senza ansie di sorta, cercare di dare tutto il proprio supporto a chi lassù ci deve salire e al campo vuole e deve fare ritorno. Ve lo posso assicurare, non è cosa da poco, e soprattutto, ce ne è un gran bisogno.

Letizia